Leonardo

Fascicolo 11


in "Alleati e nemici"
GIULIO ORSINI, Fra Terra e Astri. Torino — Roma, 1903.
recensione di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 22 - 23


p. 22


p. 23



   Confesso che parlo mal volentieri di un libro di versi. Odio la civiltà nostra libresca, che non intende di vita che le cose stampate su carta a mano o inglese, in caratteri elzeviriani o bodoniani, rilegati in pelle o in cartapecora. La parola, anche ritmica, sembra a me piuttosto che una veste e un'espressione, un paravento e una compressione. E secondo me, il libro è piuttosto un ostacolo, che un introduttore alla vita umana.
   Attraverso il suo libro, malgrado il suo libro, dunque, parlerò con lode di Giulio Orsini, abbastanza sconosciuto ancora perché io possa farlo. Bisogna però che mi affretti prima che non sorgano critici, non abbia imitatori, fama ed avversari; prima che non me lo classifichino e non me lo cataloghino, non lo faccian derivare da questo o da quello; prima che ne parlino altri Chiarini, altri Musatti, altri Mazzoni, altri professori ed altri letterati. Giulio Orsini sembra a me nella letteratura presente, un uomo, cioè una persona che per essersi creato un mondo proprio, scandalizza i classificatori e non appare nazionale. Egli non appartiene ai due greggi dí versificatori italiani; non è Pascoliano, non è d'Annunziano; ed io lo ringrazio molto di avermi liberato dalle granate e dagli dei della Grecia. E non appar nazionale, perché ha tentato di fare una poesia di idee; la nostra letteratura italiana non c'era abituata. Si è detto che non è un artista: ed io me ne son consolato, pensando che è un poeta; se non ha la lima getta bene le statue. Ci sono, è vero, fra i versi delle immagini da tappezziere:

«No, voglio inchiodare nella parete
dell'eternità il rostro amore!»

e delle metafore da fisico:

«.... ho di Röntgen i raggi
nell'occhio di scienza malato;»

Poeta dunque, non sempre, ma quando lo è, veramente e semplicemente poeta. Tuttavia bisogna confessare che egli ha fatto di tutto per non esserlo; ed io non conosco peggior nemico di Orsini poeta, di quell'altro Orsini che ha scritto la prefazione. Egli si è dato, come critico, un’estetica vecchia e asfissiante, quella della sincerità e della moralità; come pensatore delle idee vecchie, con cui rinnovare la poesia italiana, sia di forma che di contenuto. Tale proposito almeno io leggo in quei versi che aprono il volume.

«Giace anemica la Musa
Sul giaciglio de' vecchi metri
.      .      .      .      .      .
L'antico spirito? È morto
.      .      .      .      .      .
Pace alle cose sepolte!
E tu pure sei morto: il vento
Dell'arte non gonfia due volte
La tua vela o Rinascimento.»

   Le sue idee son vecchie. Giulio Orsini è un pessimista, e il suo pessimismo

(....«Tornate a vogare
Curvi, affannosi verso il dì supremo.
Il dolore, fratelli, è il nostre remo,
E l'inutile eterno il nostro mare.»)

ha creato per sofisma poetico, l'idea dell'infinito; egli voleva qualcosa di grande per cui spiegarsi le proprie torture; e si è dato l'infinito. Non già quello che potrebbe essere di un ottimista, quello che esprime la potenza creatrice inesauribile della nostra psiche, e fa dell'uomo come l'operaio eterno del proprio mondo; ma la rappresentazione scientifica dell'infinito quale ci vien data da certe precisioni degli scienziati; la fine della nostra terra perché il sole si è spento, i mondi infinitamente piccoli che scopre il microscopio, e gli infinitamente grandi che scopre il cannocchiale.
   Discutere tali idee è impossibile, Tutti i pessimisti ci sono caduti, da Swift a Voltaire; tutti quelli che han voluto avvilire l'uomo l'han mostrato piccolo di fronte a delle creazioni della loro stessa mente, cioè di fronte alle creazioni umane; era l'uomo che si inginocchiava e si insultava di fronte all'idolo che s'era creato; da Gulliver a Micromégas, è sempre lo stesso argomento, trasformato in immagini.
   Sarebbe troppo facile discutere l'idea. Basterebbe notare che nei versi dell'Orsini, tutte le immagini di piccolezza e di grandezza, sono necessariamente tolte a grandezze umane. Volendo uscire dall'uomo, per schiacciarlo con le sue visioni infinite, egli non ha fatto che mostrargli il suo impero. Si potrebbe filosoficamente mostrare la vanità dell'idea di infinito: l'ha fatto Stuart Mill. Ma non ve n'è bisogno; non si chiede a un poeta un sistema, ne una critica filosofica, come non si chiedono a un orticultore delle stoffe antiche.
   A Giulio Orsini non chiediamo che poesia. Tendiamo l'orecchio ed ascoltiamo:

O tu che t'appiatti restia
Al vaniloquio del mondo,
racchiusa nel profondo
Anima dell'anima mia,
A cui piace tremolare
Nel verso, come cipresso
Diritto e nero, riflesso
Nell'ondulamento del mare;
Solitario anacoreta
Seduto a piè del palmizio.
Stretto il fianco nel cilizio
Sanguinante del poeta;
Nella solitudine pura,
Nel silenzio intemerato
Esci ad ascoltare il fiato
Della parlante natura.

   Sono questi i versi a me più cari dell'Orpheus; altri ancora ne amo. che non posso citare, per non trasformare il Leonardo in una antologia; e mi sembra che bastino per confondere molti critici e molte critiche, anche di quelle un po' noiose, accademiche e morali che vorrebbe Giulio Orsini della prefazione.


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